venerdì 30 gennaio 2009

Perché tutti vogliono il ritorno dei Bot

I Bot, come i CTT, sono titoli di Stato, come tutti ben sanno, coi quali il risparmiatore presta del denaro allo Stato, il quale lo restituirà, coi dovuti interessi, a una data prefissata; infatti si parla di scadenza a tre, sei mesi e un anno. Ma il motivo che mi porta a scrivere questo articolo non è spiegare cosa siano i titoli di Stato, ma cercare di capire perché, in quest’ultimo periodo, il ministro dell’economia, On. Giulio Tremonti, tenti di convincere gli italiani a comprare i titoli di Stato; come ha riportato l’agenzia giornalistica Adnkronos il 4 dicembre: “Comprate i titoli di Stato italiani, sono la cosa migliore del mondo”, aggiungendo poi “in tutti i Paesi sono la cosa piu' sicura”. Questo si allaccia anche alle esternazioni del ministro del lavoro circa il rischio crack dello Stato, nel caso mancasse la liquidità necessaria a pagare le pensioni , gli stipendi dei dipendenti pubblici, nonché le spese derivanti dagli ammortizzatori sociali (in primis la CIG, cassa integrazione guadagni).

La questione è molto delicata ed è strettamente legata al nostro immenso debito pubblico. Infatti i titoli di Stato, ovvero i titoli del debito pubblico, sono per il 50% in mano straniera, mentre solo un 20% nel portafoglio delle famiglie italiane. Panorama ben diverso da quello che si prospettava a metà anni ’90, quando le percentuali erano inverse. Le percentuali degli anni ’90 devono essere lette con gli occhi della situazione economica delle famiglie e delle politiche pubbliche degli anni ’80. Infatti, se il nostro debito pubblico affonda le radici nelle politiche economiche dei governi del penta-partito, non bisogna dimenticare due cose di quel decennio: che le famiglie italiane videro per l’ultima volta aumentare il loro benessere rispetto al decennio precedente; e che i governi, per conquistare un immediato consenso, non solo aumentarono in modo impressionante la spesa pubblica (basti ricordare il gran numero si assunzioni presso le amministrazioni pubbliche e le aziende pubbliche, e i varii scandali per le spese pazze, come quello denominato “ lenzuola d’oro”, che coinvolse, nel 1988, l’intero consiglio di amministrazione delle FS a causa del prezzo gonfiato per l’assegnazione di un appalto per la fornitura di biancheria per i treni notturni), aumentando così strutturalmente la spesa pubblica, ma anche convincendo le famiglie a comprare i titoli di Stato.

Però, a partire dalla fine degli anni ‘90 lo scenario mutò. Infatti, i vecchi Bot e CTT non rendevano più come un tempo; basti pensare che agli inizi degli anni ’80 si toccò il picco di tasso d’interesse, ben il 17% . A partire dal 1998 il tasso d’interesse scese gradualmente fino a toccare il minimo nel 2004 quando era di poco sopra il 2%. Quindi, la remunerazione era scarsa e le famiglie, o non investivano oppure sceglievano altri prodotti finanziari per i loro investimenti.

Così i vari governi si videro costretti ad ampliare il port-folio degli acquirenti stranieri, fino alle percentuali odierne. La crisi economica di oggi, che sta erodendo ancor più i redditi delle famiglie, la riduzione della crescita della ricchezza nazionale che quest’anno si attesterà a -1,5%, nonché il continuo aumento del fabbisogno delle amministrazioni pubbliche, stanno mettendo in serio pericolo non solo l’acquisto dei nuovi titoli di Stato da poco emessi, ma mina soprattutto il pagamento di quelli in scadenza il prossimo anno.

Dato assai recente; l’ultima emissione di Bot e CTT per l’ultimo quadrimestre del 2008 ha visto deserte le prime due aste, mentre nella terza, solo un terzo dei titoli è andato venduto. È da precisare che tali aste erano aperte ai soli professionisti finanziari, e non alla generalità. Ma ciò è assai indicativo della criticità della situazione.

Infatti l’acquisto dei nuovi titoli di stato cadrà in un circolo vizioso, perché non sarà funzionale a coprire nuove spese, ma a pagare i titoli in scadenza. Infatti, la crisi economica costringe lo Stato a spendere risorse per finanziare la CIG, per mantenere i posti di lavoro, nonché le misure per i redditi più esposti . Giocoforza, i nuovi fondi reperiti coi nuovi Bot e CTT dovranno essere vincolati al pagamento dei vecchi titoli. Se non riuscissimo a restituire quanto ricevuto in debito e i relativi interessi, seguiremmo il destino dell’Ecuador, il quale, come dichiarato giorni fa dal presidente Rafael Correa non riuscirà a pagare i titoli del debito pubblico in scedenza nel 2012. Quindi lo stato ecuadoregno è destinato al cd “default”, ossia il fallimento.

Come pure in situazione critica è la Grecia, la quale versa nelle nostre stesse condizioni. Infatti il debito pubblico della repubblica ellenica è al 93%, e la crisi ha falcidiato la crescita del PIL, che decrescerà dal 3% all’1,4% (fonte: the Economist). Le proteste delle settimane scorse non furono solo scatenate dall’uccisione del giovane quindicenne, ma anche erano dirette a criticare le politiche del governo sul debito.

Per tornare in Italia, il problema dell’acquisto dei Bot esiste, anche se recentemente il loro tasso d’interesse ha ripreso a crescere sfiorando il 4%, grazie al cambio favorevole con il Bund, l’omologo teutonico. E ciò fa sperare che quelle famiglie che vogliono investire un po’ di capitale, lo facciano comprando i titoli del nostro debito pubblico.

Per evitare il crack, come l’Ecuador, è necessario che da un lato il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche diminuisca strutturalmente, così dimuirà la richiesta di nuovo debito, e secondo che il debito ritorni, per la maggior parte, in mano italiana, come forma di garanzia per non dipendere eccessivamente sugli acquirenti esteri. Ma quest’ultimo sarà possibile solo se il reddito delle famiglie riprenderà a crescere, e ciò può avvenire con serie riforme economiche che liberalizzino il mercato italiano, il quale in molti settori è ancora asfittico.

Mirko Iodi

domenica 7 dicembre 2008

TREVISO: storia di una moschea errante.

Venerdì 14 novembre a Cittadella i Giovani Democratici (www.targatocittadella.blogspot.com) hanno organizzato la presentazione del libro "L'apartheid" di Toni Fontana, con l'autore, Mara Mabilia (docente universitaria di Padova) e Khalid, un giovane di orgine marocchina che fa parte del gruppo "Seconda Generazione". Tra il pubblico (un'ottantina di persone) c'erano anche sei ragazzi dell'associazione Controluce (http://www.gruppocontroluce.org/), un'associazione culturale e di promozione sociale che opera a Maserada sul Piave, in provincia di Treviso. Questi ragazzi che si propongono, tra le altre cose, "di affrontare e approfondire i temi dell'attualità che appaiono sottovalutati o passati sotto silenzio", hanno montato un video sulla persecuzione che Gentilini, prima sindaco e ora vicesindaco, di Treviso ed altri sindaci della lega hanno fatto alla comunità islamica, negando in ogni modo un luogo di culto, culminato con la preghiera sui marciapiedi.
Giovedì 11 dicembre alle 21.00 proietteranno per la prima volta il video da loro realizzato (la locandina è qui http://media.gruppocontroluce.org/locandina_moschea.jpg) e ci hanno invitato a partecipare. E' bello ed importante vedere che a Treviso, monopolio leghista, ci sono ragazzi che non si arrendono alle politiche xenofobe e populiste dell'amministrazione. Putroppo una certa mentalità non si arresta nella provincia di Treviso e come Giovani Democratici di tutta la regione dobbiamo lottare contro le forme di intolleranza attuali e appoggiare le iniziative di quelle associazioni che ancora si battono per i diritti civili di tutti.

Laura

giovedì 27 novembre 2008

Credit Crunch (parte terza)


Scrivo questo terzo articolo sulla crisi finanziaria per concludere la trattazione e agganciarci, così, ai giorni nostri. Ora parlerò di cosa è accaduto dal 2006 fino a quest’anno, quindi dei “Credit Default Swap”, delle agenzie di rating e del cd “gigantismo”.
Nel secondo articolo, parlando dei Cdo (Collaterized Debt Obligation) ho detto che essi erano garantiti da crediti Abs (Asset Backed Securities), e che le banche, per finanziare tali titoli, verso il 2005, cominciarono a fare uso dei mutui sub-prime. Nel 2006 ben l’80% dei titoli Abs conteneva mutui sub-prime, a loro volta vicino all’insolvenza. Presentando i titoli Abs e Cdo con a base i sub-prime, le banche d’affari esponevano gli investitori ad alti rischi, ma anche alla possibilità che, se il mutuatario continuava a pagare le rate e quindi a saldare il debito, potessero effettuare grandi guadagni. Questo perché le agenzie di rating garantivano che i sopradetti titoli provenivano da cartolarizzazioni (vedasi articolo due) sicure; inoltre, ad assicurare l’affidabilità dei titoli Abs, vi erano istituzioni terze, estranee alla società di rating, come le assicurazioni Aig le quali, dietro cospicui pagamenti chiesti agli investitori-consumatori (sul modello del premio assicurativo), assicuravano l’affidabilità di tali titoli. Dietro la vicenda Aig, ora nazionalizzata dal governo USA, si cela un vero e proprio circolo vizioso.
Tra gli anni 2004 e 2006 ci fu un boom dei cd “swap” (Cds), i quali garantivano la solvibilità dei titoli Abs e Cdo. Quindi, l’aumento vertiginoso dei titoli Abs e Cdo, accompagnato dalla collaterale crescita dei titoli di garanzia Cds, condussero le assicurazioni Aig ad esporsi sempre più nel mercato dei mutui ipotecari, e a vedersi contemporaneamente ridurre il proprio capitale, per far fronte agli impegni presi. Da questo si può desumere come negli Stati Uniti si fosse creato un mercato bancario parallelo, fuori dal controllo degli organismi pubblici Fed e Sec, basato sul credito immobiliare a maggior rischio. In particolar modo, i titoli swap, che erano scambiati al di fuori della borsa, erano totalmente fuori controllo; perciò il loro mercato era privo di ogni regola di garanzia, diversamente dalla borsa. Infatti, gli operatori di borsa, i cd “brokers”, non si preoccupavano della pericolosità di tali titoli, poiché erano ben consapevoli che tali operazioni risultavano sempre fuori bilancio; come ho scritto nel secondo articolo. Se a queste vicende sommiamo quanto succedeva nell’economia reale, vediamo che il mercato edile era in pieno boom, il costo del denaro era basso, grazie all’opera del governatore della Fed Greenspan, e le grandi corporazioni del credito si erano talmente ingigantite che, agli occhi delle autorità pubbliche, era impensabile un loro fallimento. Il sistema, che finora ho descritto, cominciò a scricchiolare nel 2006, con le prime insolvenze. Ciò dovuto all’aumento del tasso di interesse del denaro che aveva, come si può ben dedurre, innalzato i tassi di interesse bancari, e quindi le rate dei mutui. Perché la Fed si vide costretta, tra il 2004 e il 2006, ad alzare i tassi di interesse? Il motivo era quella di contenere l’inflazione, agendo come la sua omologa Bce (Banca Centrale Europea), per attutire gli effetti delle speculazioni sul petrolio e i cereali, che stavano innalzando i prezzi in tutto il mondo.
Tornando al mercato americano, se consideriamo cha una buona parte dei mutui era erogata a persone che non fornivano garanzie, e assommiamo ai già insufficienti redditi l’aumento dei prezzi, e quindi del costo della vita, inevitabilmente una grossa fetta di mutuatari non riuscirono più a pagare le rate. Quindi il sistema entrò in crisi, e con esso tutto il mercato dei mutui ipotecari, e degli scambi interbancari, provocando la diffusione di quel “panico” dovuto alla paura delle insolvenze, che portò al blocco delle emissioni di nuove cartolarizzazioni, e al deprezzamento dei titoli che avevano valore. In questa situazione si inserisce il trattato “Basilea 2” (di cui si è sentito qualche volta parlare), siglato nel 2005, che obbligava e obbliga le banche commerciali ad una certa soglia minima di capitalizzazione. Ossia, il trattato prevede che la soglia di capitalizzazione venga calcolata in base al rapporto tra le passività e il patrimonio proprio della banca (cioè il patrimonio netto), tenuto conto dei bilanci delle società veicolo (vedasi articolo precedente), le quali acquistavano i mutui dalle banche commerciali. Con l’applicazione del trattato, lo scenario che si disegnò nel 2006 fu assai grave: le banche mostrarono una sottocapitalizzazione, ossia il loro capitale netto non era sufficiente a coprire il valore dei titoli emessi, quindi conseguenza diretta fu la progressiva svalutazione, da parte della banche, dei titoli che possedevano, per non aumentare ovviamente l’esposizione debitoria.
La voragine apertasi toccò subito il valore delle azioni delle banche stesse, causandone un forte deprezzamente. E similarmente ad un’epidemia, il contagio si allargò agli altri settori economici, primo fra tutti il mercato edile e quello interbancario. Il primo perché era saturo, e la bolla speculativa sul valore delle case si stava sgonfiando a causa del rallentamento delle vendite; il secondo perché le banche non erano più disposte a scambiarsi liquidità, oramai poca. Altro mercato contagiato fu quello dei mutui ipotecari, in quanto le banche non furono più disposte ad erogare mutui, se non a tassi elevatissimi. Le banche centrali di mezzo mondo, per evitare il collasso dell’intero sistema, cominciarono ad iniettare liquidità nel mercato finanziario, per tutto il 2007, così da ravvivare il mercato interbancario. Mentre il governo americano provvide ad un piano straordinario da 150 miliardi di dollari per sostenere i consumi. Ma entrambi non sortirono gli effetti desiderati. Soprattutto il secondo, in quanto le famiglie lo utilizzarono per aumentare i loro risparmi.
E arriviamo alla primavera 2008. La banca d’affari Bear Stearns non aveva più liquidità, perché nessuna banca le faceva credito, e il governo britannico aveva provveduto a nazionalizzare la Northern Rock Bank. La Bearn Stearns fu salvata dal fallimento grazie a un intervento della Fed, la quale convinse la banca JP Morgan Chase ad acquistarla. Secondo i Gramm’s Acts tale banca non rientrava sotto il controllo della Fed, quindi essa intervenne indirettamente per evitare l’aggravarsi della crisi.
A settembre, il 7, stavano fallendo le due banche semi-pubbliche Fannie Mae e Freddie Mac, e il governo americano intervenne nazionalizzandole, e spendendo ben 100 miliardi di dollari. Bisogna spendere alcune parole sul perché il governo americano salvò quei due istituti. Sappiamo che le due banche garantivano la maggior parte dei mutui. Inoltre, poiché erano semi-pubbliche, esse operavano in modo protetto dalla concorrenza, quindi fornivano maggiori garanzie. Ma erano quotate in borsa, e molti governi, in particolare quello cinese e quelli arabi, investirono somme consistenti su di esse. Quindi l’amministrazione Bush, costretta dalle pressioni di tali governi, nonché dall’esigenza di salvare la credibilità del sistema finanziario americano, decise di nazionalizzarle, provocando un’impennata del debito pubblico dal 60 al 90%. Il giorno 9 crollano le azioni delle banche d’affari e, alla metà del mese, scoppia il caso Lehman Brothers, dichiarata fallita il giorno 15 per i troppi debiti, ben 693 miliardi di dollari.
La Merrill Lynch viene acquistata dalla sua rivale, Bank of America; di lì a qualche giorno, il 17, le assicurazioni Aig, le quali non hanno capitali per garantire i swap, dichiarano debiti per 1000 miliardi di dollari, provocando un altro intervento del governo, il quale lo porta a detenere ben l’80 % del capitale. Il salvataggio prevede che l’istituto, per risanarsi, metta in vendita i rami societari più redditizi, nonché paghi gli interessi derivanti dai debiti. Per salvare il salvabile, la Fed mette a disposizione nuovi titoli del debito pubblico per garantire i titoli tossici (quelli aventi a base i sub-prime). Il giorno 18, il governo americano dichiara di avere un piano di salvataggio, il cd “piano Paulson”, cioè un fondo di 700 miliardi di dollari, che si chiama, ufficialmente, Tarp (Troubled assets relief programme), finalizzato ad acquistare i titoli tossici, ripulendo il mercato.
Questa è la cronistoria della crisi economia, dai suoi prodromi ai giorni nostri. Non mi sono concentrato molto sulle vicende odierne perché sono quotidianamente trattate dai mass media.
Mirko Iodi

giovedì 20 novembre 2008

Elenco dei Seggi delle primarie dei Giovani Democratici di Padova

PADOVA: dalle 8 alle 23 Sala Caduti Nassiria p.zza Capitaniato (seggio anche per studenti fuori sede)

CITTADELLA: dalle 8 alle 23 Sede PD via dell'Officina

CAMPOSAMPIERO: dalle 8 alle 23 Piazza Castello

PIAZZOLA SUL BRENTA: dalle 8 alle 23 Sede Pd via Rolando

VIGONZA : dalle 8 alle 21 Sala polivalente Via Paradisi – Peraga -
dalle 21 alle 23 via Cavour di fronte al MOVENBIK

CADONEGHE: dalle 8 alle 23 Casa del lavoratore Via Gramsci 43
dalle 12 alle 15 Piazza del Sindacato
dalle 15 alle 18 Piazzale San Bonaventura

PONTE SAN NICOLO’: dalle 8 alle 23 Biblioteca Comunale Via Aldo Moro

MESTRINO: dalle 8 alle 23 Casa delle Associazioni - stanza 12, vicino municipio

TEOLO: dalle 18 alle 23 Sala Muccioli vicino al Municipio - Bresseo di Teolo

ABANO TERME: dalle 8 alle 23 Sala Polivalente vicino CRC Via Donati 2

ALBIGNASEGO: dalle 8 alle 23 Sala ex anagrafe Via Roma

PIOVE DI SACCO: dalle 8 alle 23 Sala della Musica Via ortazzi 9

CONSELVE: dalle 8 alle 23 Piazza XX settembre

MONSELICE: Sede PD: dalle 8 alle 11.45 piazza San Marco
dalle 11.45 alle 13.45 in p.zza Mazzini x le scuole
dalle 14 alle 23 in piazza San Marco

ESTE: dalle 8 alle 20 sala civica - vicolo Mezzaluna

MONTAGNANA: dalle 8 alle 23 presso l'osteria Due Draghi

STANGHELLA: dalle 17.00 alle 23 Atrio Museo Civico ex Municipio

Possono votare tutti i giovani dai 14 ai 29 anni compresi!
Basta presentarsi con un documento di identità o con il badge dell'università di Padova!

martedì 11 novembre 2008

Credit Crunch (parte seconda)


Storicamente, ci eravamo fermati alla presidenza Bush, in particolare alle prospettive non rosee dell’economia americana del dopo 11/9. Fino a quella data il sistema finanziario americano registrò solo alcune novità, le quali, ripetendo, sono: i Gramm’s Acts del 1999 e del 2000, la politica per la prima casa e, da ultimo, l’innovazione finanziaria.
Ora, dobbiamo prendere in considerazione altre due date, il 2002 e il 2003. In questi anni la grande finanza registrò un boom, con un espansione fenomenale di varî pacchetti finanziari, cha vanno sotto il nome di: Abs, Cds e Cdo. Però, l’evoluzione del mercato non venne accompagnata da una parallela evoluzione degli strumenti di controllo da parte degli organismi pubblici, Fed e Sec; ciò dovuto non solo per le due leggi, di cui parlavo, ma anche per mancanza di competenze all’interno degli stessi organismi. Così, se la finanza si innovava, per i risparmiatori divenne sempre più arduo comprendere cosa volessero dire: Cdo, Abs e Cds, ma anche diminuiva la vigilanza, quindi la tutela dello Stato. Ma, adesso, è Meglio chiarire il significato delle sigle che ho citato per comprendere i loro effetti nefasti, che oggi subiamo
Gli Abs (Asset Backed Securities) sono strumenti finanziari, simili alle tradizionali obbligazioni, emessi a seguito di “cartolarizzazione”, cioè la trasformazione dei mutui in obbligazioni a tasso fisso o variabile, oggetto anch’esse di compravendita. La nascita di un Abs si realizza in più fasi: una banca separa dal proprio bilancio una serie di crediti (mutui), li trasforma in un “pacchetto finanziario”, e poi li vende sul mercato tramite una società veicolo delle banca medesima, oppure esterna. La società veicolo emetterà, a sua volta, delle obbligazioni a proprio nome, aventi come contenuto i crediti delle banca di partenza, con lo scopo di allocarli presso gli investitori-consumatori, i quali li acquistano in borsa. Così la società veicolo paga, con gli investimenti dei consumatori, alla banca iniziale l’acquisto dei titoli “impacchettati”. Il rischio sta in questo: poiché il pacchetto venduto nel mercato finanziario, alla fin fine, si basa sempre su un mutuo, qualora il mutuatario cominciasse a non pagare le rate (come è successo), l’operazione perderebbe liquidità, e così risulterebbe impossibile il rimborso del capitale che i risparmiatori hanno impegnato per acquistare il titolo, nonché il relativo guadagno derivante dalla speculazione.
I Cdo (Collaterized Debt Obligation) sono titoli derivati, garantiti da titoli Abs. Mentre gli Abs sono titoli “antichi”, perché già in uso nel XIX secolo in Germania e Danimarca, i Cdo sono totalmente nuovi. Anche qui, la loro commercializzazione parte da una società veicolo alla quale, come prima, vengono venduti da una o più banche commerciali titoli di credito. I mutui vengono impacchettati e ad essi viene abbinato un tasso di rischio sul loro rendimento. Il tasso di rischio non è altro che questo: le banche commerciali, nel conferire i loro crediti alle società veicolo, cedono sia i mutui sulle case, sulle aziende, sui centri commerciali etc .. . Quindi, si crea una diversificazione del rischio, in quanto, ovviamente, ogni mutuo ha un proprio grado di rischio, perché connaturato all’affidabilità del mutuatario. E qui vi è un’altra perversione del sistema, perché, più il portafoglio dei crediti è diversificato, meno consistente è il rischio di performance negative del Cdo, e viceversa. Quindi il mercato dei Cdo obbliga l’investitore-consumatore ad acquistare molti titoli, e inconsapevolmente acquista sia titoli che si basano su mutui sicuri (che verranno estinti dai mutuatari), che su titoli non sicuri (perché il mutuo è stato erogato anche a persone che non rispondono a tutti i requisiti minimi di garanzia, come i sub-prime).
Per i Cds (Credit Default Swap) ho già parlato nell’articolo predente, e per sintetizzare, il loro funzionamento è paragonabile, in via generale, a quello dell’assicurazione. L’innovazione è che grazie alla deregolamentazione del 2000 sono nate tante tipologie di swap (le più diffuse sono 11), a causa della flessibilità di tale strumento finanziario. Però, se in facciata tali contratti avevano il fine di tutelare gli investitori dall’eventuale crack dell’istituzione che ha emesso i titoli (da non confondersi con il venditore), di fatto le banche hanno lucrato fino all’inverosimile, perché costringevano i consumatori a versare mensilmente elevate somme (paragonabili ai premi assicurativi) per tutelarsi.
Dopo questo excursus su cosa siano questi titoli, dei quali era doveroso parlare perché sono il motivo dell’odierna crisi, vediamo come la storia si è evoluta. Tali titoli, all’epoca, erano molto redditizi, in quanto il giudizio di affidabilità rilasciato dalle società di rating (vedremo dopo cosa sono) era altissimo, e l’economia reale aveva ripreso a correre (tasso di crescita USA del 4%). Le banche d’affari, le quali svolgevano il ruolo di “società veicolo”, effettuavano colossali guadagni grazie alle intermediazioni, remunerando ampiamente i loro dirigenti ed azionisti. In questi strepitosi guadagni sta un’altra piega maligna. Infatti, le banche d’affari incentivavano i loro migliori dirigenti e dipendenti a produrre sempre nuovi pacchetti, sulla base di questa semplice logica: “più il nuovo pacchetto ci fa guadagnare, più tu guadagni”. Conseguenza fu che, nel 2005, le banche d’investimento, per produrre profitti, non poterono più affidarsi ai mutui sicuri, in quanto la loro crescita non è infinita, e quindi dovettero rivolgere lo sguardo ai cd “sub-prime”; ossia i mutui ad alto rischio, erogati a persone che non rispettavano tutti i requisiti di garanzia.
Riassumendo, le banche commerciali aumentavano le erogazioni di denaro tramite mutui, sia sicuri che non. Così facendo si esponevano sempre più nel mercato interbancario, senza aumentare in proporzione il loro capitale, perché spinte dalle banche d’affari e dalle società di rating. Quindi, le banche commerciali, per evitare i controlli della Fed e della Sec sul numero di sub-prime emessi ,si videro costrette a non iscrivere nei loro bilanci l’erogazione di tali mutui, ma solo i titoli messi in circolazione dalle loro società veicolo. Quindi le banche non dimostravano di essere a rischio d’insolvenza, mentre giorno dopo giorno, consapevolmente, ingrandivano la voragine creato nei loro conti. Da ultimo, meritano attenzione le società di rating. Queste sono agenzie private le quali, periodicamente, pubblicano bollettini sull’affidabilità delle obbligazioni emesse dalle imprese private. Quindi, nel nostro discorso, le società di rating si resero partecipi di un grande conflitto d’interessi, perché sostenevano la politica delle banche d’affari. Emettendo sempre un elevato giudizio di affidabilità, de facto, contribuivano a minare il sistema. Infatti, esse emettevano giudizi solo basandosi su analisi storiche, non riconoscendo che i nuovi mutui erano molto rischiosi.

Mirko Iodi

lunedì 10 novembre 2008

NULLA E' IMPOSSIBILE!

“Nulla è impossibile”, è questo il titolo tra tutti quelli usciti sulla stampa di questi giorni che rappresenta meglio l'evento a cui noi, come milioni di altre persone in tutto il mondo, abbiamo assistito nella notte del 4 novembre. Per la prima volta un afroamericano, a soli 47 anni, è diventato presidente degli Stati Uniti d'America, e questa è forse la prima bella notizia di questo nuovo millennio! Il “Democratic Party” non ricordava quasi più un successo così travolgente, da quando nel '68 proprio a Grant Park, luogo in cui Barack Obama ha fatto il suo primo discorso da neo-presidente, partì la contestazione contro la Convention democratica e che fu l'inizio di tutti i guai dell'Asinello democratico, tornato da allora alla Casa Bianca solo di rado e con democratici molto sui generis, centristi e del Sud, come Jimmy Carter e Bill Clinton.Ma al di là di tutto, io credo che questa sia stata una vittoria dell'America intera, di un paese che vuole voltare pagina e che ha capito che per uscire dalla crisi non serve chiudersi in se stessi e mostrare i muscoli ma bisogna allargare i propri orizzonti, tenere aperti i canali del dialogo e farsi bandiera dei diritti di tutti, indipendentemente dal colore della sua pelle e dalla sua classe sociale.
(“...la vera forza della nostra nazione non è nella forza delle nostre armi o nell'abbondanza delle nostre risorse, ma nel potere duraturo dei nostri ideali: democrazia, libertà, opportunità e inflessibile speranza.” B.Obama)
E gli Stati Uniti hanno capito, sono ben lontani dal patetico teatrino della politica nostrana..Loro non sono più un paese di Stati rossi e Stati blu (concetto su cui l'ex presidente repubblicano Nixon ha fondato l'egemonia repubblicana..), ma sono un unico popolo indipendentemente da ogni distinzione, tanto che lo stesso McCain l'ha definito “mio presidente”.Obama poi nel suo discorso ha detto che sarà il presidente di tutti e che ascolterà anche la voce di chi non l'ha votato e di chi non sarà d'accordo con le decisioni che prenderà. E questa cosa mi fa molta rabbia, perché mai noi qui in Italia siamo stati così lontani da quest'affermazione..E' anche questa la forza di un popolo, che si riconosce in legami più forti dell'appartenenza politica! E chi governa un paese ed un popolo deve capire che lo fa a servizio di una comunità e non per garantire i suoi interessi personali.Comunque in America il cambiamento è arrivato, la rivoluzione dolce è cominciata, e chissà che un giorno si possa parlare di rivoluzione anche nel nostro Paese.
(“Questo è il nostro tempo, tempo di rimettere la gente al lavoro, di aprire le porte delle opportunità per i nostri figli; di far tornare prosperità e promuovere la causa della pace; di ribadire il sogno americano e riaffermare quella verità fondamentale che, tra tanti, noi siamo una cosa unica; che mentre respiriamo, speriamo. E lì dove ci scontriamo con il cinismo ed i dubbi e con coloro che ci dicono che non possiamo, noi rispondiamo loro con quel credo senza tempo che riassume lo spirito di un popolo: sì, noi possiamo. Grazie a voi, che Dio vi benedica, e che benedica gli Stati Uniti d'America.” B.Obama)


Pietro Galiazzo

vedi il video: http://it.youtube.com/watch?v=Qq8Uc5BFogE

venerdì 7 novembre 2008

Credit Crunch (prima parte)


Da un po’ di tempo a questa parte, sentiamo parlare di crisi finanziaria, e delle future ripercussioni che essa avrà sull’economia reale. Come ben sappiamo, la crisi è entrata nella quotidianità a seguito di un fatto: la bancarotta di una delle più importanti banche d’affari americane, la Lehman Brothers, il 15 settembre. Tale evento è il frutto di una scellerata politica finanziaria, che affonda le sue radici ai tempi della presidenza Clinton; ma se vogliamo andare più in là, dobbiamo rintracciare i prodromi negli anni ’80.
Per limitarci ai tempi a noi più vicini, dobbiamo analizzare cosa accadde nel mondo finanziario americano tra 1999 e il 2006. All’epoca, presidente della Fed (Federal Reserve), la banca centrale degli Stati Uniti, vi era Alan Greenspan, il quale la dirige dal lontano 1987. Costui, negli anni ’90, si costruì l’impeccabile fama di “uomo dei miracoli”, perché, grazie a ingegnose manipolazioni dei tassi di interesse, che rimasero bassi per tutto il decennio, riuscì a guidare la più grande economia del mondo, assicurandole una crescita stabile e duratura. Una sì favorevole situazione permise alla banche, sia commerciali che d’affari, di confidare, non solo sulla stabilità dell’economia, ma anche su una stabile crescita del reddito delle famiglie americane. Infatti, grazie ai bassi tassi di interesse, le banche potevano indebitarsi a basso costo (le banche, per finanziarie ogni mutuo, reperiscono il denaro nel mercato interbancario, il quale si basa su scambi di liquidità tra banche) e quindi concedere mutui per la prima casa, favorendo il mercato edile e l’occupazione. Una delle cause dell’indebitamento massiccio delle banche, oggi, è da rintracciare in tale sistema.
Ossia, le banche, per reperire liquidità, non solo scambiano elettronicamente denaro tramite depositi o conti correnti interbancari, ma anche cedendosi vicendevolmente “titoli derivati” (swap), il tutto con la contropartita che il debito verrà saldato in breve tempo. Vieppiù, la banche avevano la certezza che, anche se il consumatore non riusciva pagare le rate del mutuo, potevano sempre contare sull’ipoteca sulla cosa. Un simile stato delle cose poté funzionare perfettamente fino al 1999. Questa data è importante perché, in quell’anno, il presidente Clinton promulgò una importante riforma bancaria, con la quale vennero depotenziati i controlli sul mercato finanziario. Cioè, la Fed rimaneva supervisore del sistema finanziario, ma tale legge limitava il controllo sulle banche d’affari (dette anche d’investimento), sulle quali rimaneva a vigilare la Sec (omologa americana dell’italiana Consob, l’organismo pubblico di controllo sulla borsa e le società).
L’anno dopo, sempre Clinton, deregolamentò un altro importante mercato, quello dei Swap. I swap sono dei contratti tra privati, con il quale l’investitore-acquirente si protegge dal rischio che il titolo o il credito acquistato non venga rimborsato alla scadenza. Quindi una forma di assicurazione, che gioca sul rischio; e qui sta un’ulteriore perversione del sistema. Questo perché tali contratti, a loro volta, hanno un loro mercato, nel quale sono oggetto di compravendita, generando così un’elevata speculazione sul loro valore.
Riassumendo, la deregolamentazione del mercato dei swap, combinato al loro immenso potenziale speculativo, hanno aumentato vertiginosamente la speculazione finanziaria, aumentando la tipologia dei swap, nel giro di poco tempo. Principali artefici di queste perversioni furono le banche d’affari, le quali assoldarono giovani menti per produrre questi “pacchetti”. Solo per citarne alcune: Lehman Brothers, Citigroup, Merryll Lynch etc … .La seconda legge produsse un ulteriore ribaltamento nel sistema dei controlli. Infatti, ora i due istituti che prima o citato, la Fed e la Sec, non hanno più il controllo sull’attività di questi operatori finanziari, perché, dice testualmente la legge, si richiede alle banche d’investimento di “autoresponsabilizzarsi ed autoregolamentarsi”. In questo contesto si inserisce l’amministrazione Bush la quale, dopo gli attentati dell’11 settembre, per sostenere l’economia, che rischia la stagnazione e il crollo dei consumi, decise di incentivare l’acquisto della prima casa a chi aveva redditi bassi ovvero un lavoro precario; per stimolare la circolazione di denaro, pur mantenendo sempre i tassi di interesse bassi. Chiamate a sostenere questa politica furono due soggetti, allora semi-pubblici, ora interamente pubblici, di cui abbiamo già sentito parlare, Fannie Mae e Freddie Mac, le quali riacquistavano la metà dei mutui stipulati dalle società finanziarie e dalle banche commerciali. Questa cessione, che era una pura e semplice compravendita, permetteva alla banche di rifinanziarsi e finanziarie nuovo mutui. Ma al contempo, tali banche garantivano i mutui, ai due soggetti semi-pubblici, con le ipoteche gravanti sulle case, quindi giocando sul valore delle stesse. Questo è un altro punto dolente del sistema, il quale provocherà un aumento impressionante dei prezzi delle case, creando la cd “Bolla immobiliare”.
Mirko Iodi

Obama, via al cambiamento: nuova squadra di governo

Il giorno dopo l’investitura, Barack Obama è già al lavoro sulla squadra di governo. Il direttore del National Intelligence americano, Mike McConnell, dovrebbe guidare il team che terrà il primo briefing top-secret dell'intelligence al neoeletto presidente americano La squadra degli “intelligence briefers” - coloro che aggiorneranno Obama su questioni di intelligence - è già stata nominata ed è pronta a discutere con il neoeletto presidente del Presidential Daily Brief, quella riunione quotidiana che già veniva fatta con il presidente Bush. La Cnn, che ha riportato la notizia, ha ottenuto una copia della nota che il direttore della Cia Michael Hayden lo ai dipendenti della Central Intelligence Agency. Rahm Emanuel sta ancora vagliando la proposta di diventare il capo dello staff del presidente eletto Barack Obama, malgrado alcuni media abbiano riferito il contrario. Una fonte a lui vicina, scrive il sito Ynetnews, afferma che Emanuel non ha ancora accettato e sta considerando l'offerta alla luce di ragioni personali e familiari. Il capo di Gabinetto, volendo usare una metafora, è come fosse l'amministratore delegato del Governo, una delle figure più influenti e stretto collaboratore del presidente, di cui ne cura l'agenda quotidiana. Oltre a decidere chi è autorizzato a incontrare il presidente, ha il compito di fare da supervisore alle attività dello staff della Casa Bianca. Emanuel, veterano dell'amministrazione del presidente Bill Clinton, ha fama di essere stratega politico di larghe vedute ed è stato presidente della commissione elettorale democratica quando, due anni fa, i democratici hanno riconquistato il controllo del Congresso per la prima volta in oltre un decennio. La stampa israeliana ha dato ampio rilievo alla prima nomina di Obama. Emanuel è figlio di un'ebrea americana e di un israeliano, immigrato negli Stati Uniti. Il quotidiano “Maariv” ha dedicato alla nomina un ampio servizio dal titolo “Il nostro uomo alla Casa Bianca”. Emanuel, 38 anni, secondo il quotidiano “Haaretz”, ha compiuto un breve periodo di servizio militare in Israele nel 1997, e nel 1991, nei mesi che hanno preceduto il conflitto nel Golfo, ha prestato servizio come volontario in un'officina dell' esercito israeliano per la riparazione di carri armati. Il team di collaboratori che aiuterà Obama nel periodo di transizione - il presidente giurerà il prossimo 20 gennaio e solo allora si insedierà alla Casa Bianca - sarà guidato dal John Podesta, capo di Gabinetto durante la presidenza Clinton. Ne faranno parte anche la governatrice dell'Arizona Janet Napolitano, che potrebbe avere un incarico anche nell'amministrazione Obama, Pete Rouse, capo dello staff di Obama in Senato, e Valerie Jarrett, amica del nuovo presidente e consulente della sua campagna elettorale. La squadra di consulenti comprenderà anche Federico Pena, ex segretario all'Energia e ai Trasporti sotto Clinton, e il segretario al Commercio dell'ex presidente William Daley

lunedì 27 ottobre 2008

TUTTI IN PIAZZA!


Partecipiamo numerosi, senza simboli di partito, all'iniziativa promossa da alcuni studenti dell'Università di Padova contro i pesanti tagli al sistema universitario.

domenica 19 ottobre 2008

Contro la legge 133! Per un'Università pubblica e di qualità!

Lo scenario che si sta delineando riguardo al nostro sistema formativo, a partire dalla scuola fino al mondo dell'università e della ricerca, è a dir poco preoccupante.
Il Ministro Gelmini ha cominciato dal settore scolastico con una serie di tagli ingenti sul personale docente, tutto questo per l'esigenza di risparmiare denaro che, secondo il Ministro e il suo collega Tremonti, verrebbero sprecati. Forse di sprechi, come in molti settori del pubblico, ce ne sono, ma non di certo nell'ambito della docenza. E viene spontaneo chiedersi, visto che il sistema formativo, specie quello delle scuole elementari italiane, è uno dei motivi di vanto del nostro paese, per una volta che qualcosa funzione perchè ci si investe parecchio, perchè decurtarne i fondi e abbassarne di conseguenza la qualità??? Anzi, invece di stanziare nuovi finanziamenti destinati all'edilizia scolastica, all'acquisto di libri o di strumentazione adeguata ad aggiornare i nostri istituti scolastici, non si fa che tagliare la spesa in maniera indiscriminata. La stessa azione che il Ministro sta portando avanti nel mondo dell'università. Il taglio enorme e soprattiutto indiscriminato dei fondi di finanziamento ordinario è inaccettabile. Specie per un ateneo come quello patavino che si è sempre distinto per una buona gestione delle risorse e delle spese. E da parte di noi studenti è ancora più intollerabile perchè la riduzione dei fondi porterà inevitabilmente ad un aumento delle tasse, già alte, senza per altro avere in cambio un miglioramento dei servizi e dell'offerta formativa.
La limitazione dell'assunzione di personale a tempo inditerminato al 20% dei pensionamenti contribuirà a diffondere l'istituzione del numero chiuso per rispettare il rapporto docenti/studenti; e soprattutto la riduzione delle asssunzioni sbarra inevitabilmente la strada a chi volesse intraprendere la già di per sè difficile carriera accademica e destina al precariato permanente chi l'ha già intrapresa. Senza contare che nemmeno la "carriera scolastica" (e capirai che carriera visto che la categoria dei professori di scuola è tra le più bistrattate in questo paese) è più definita, perchè con l'abolizione della SISS (la scuola di formazione per diventare insegnanti), e soprattutto senza una vera proposta alternativa per reclutare professori, noi studenti non sappiamo che strada dobbiamo percorrere per diventare insegnanti di scuola.
Infine la possibilità di trasformare gli atenei in fondazioni di diritto privato è evidentemente un "invito" a farlo per via delle molteplici agevolazioni tributarie ed economiche di cui godono la fondazioni e diventa una "costrizione" a causa degli ingenti tagli dei fondi pubblici previsti fino al 2013.
In definitiva mi sembra che i sistema formativo italiano che vantava ancora un certo livello d'eccellenza, sia destinato ad essere smantellato. Il ministro, anzichè puntare sul miglioramento di un sistema di istruzione PUBBLICO, DI QUALITA' e aperto a tutti incentivando gli investimenti nel DIRITTO ALLO STUDIO, cerca di minarlo.
Ogni provvedimento risponde ad un disegno ormai anacronistico, se non comunque sbagliato, di portare l'università italiana al modello americano, basato sulla distinzione fra atenei di serie A, destinati a chi se li può permettere e che offrono vere garanzie di sbocco lavorativo, e atenei di serie B, pubblici, ma di scarsissima qualità.
Noi come studenti credo dovremmo volere un serio investimento nel diritto allo studio per consentire a tutti di poter accedere alle stesse opportunità in base al merito. Dovremmo auspicare un serio investimento in strutture e servizi per poter mantenere alto il livello del nostro sistema formativo; dovremmo esigere una seria valutazione di come vengono gestite le risorse negli atenei, in modo che, se si mira realmente ad eliminare gli sprechi, non si colpiscano gli atenei in modo indiscriminato. Dovremmo pretendere infine che la ricerca finalmente assuma un ruolo di traino del progresso sociale e culturale del nostro paese, e come tale che sia prima di tutto lo Stato a supportarla, e non sia esclusivamente relegata alla discrezione di finanziatori privati.
In questi giorni all'università c'è stata un'ampia mobilitazione da parte degli studenti, dei ricercatori, dei docenti e del personale tecnico-amministrativo e credo che per raggiungere davvero qualche risulatato, bisognerà proseguire TUTTI ASSIEME quest'opera di sensibilizzazione, rivolta soprattutto alla cittadinanza. La mobilitazione e l'indignazione non devono coinvolgere solo le parti interessate perchè credo che "combattere" la miopia di un Governo che non investe sui giovani talenti, che non premia il merito, che non punta sulla conoscenza e su un'istruzione pubblica e di qualità, sia un dovere di tutti.

Chiara Zampieri- rappresentante degli studenti in Senato Accademico