venerdì 30 gennaio 2009

Perché tutti vogliono il ritorno dei Bot

I Bot, come i CTT, sono titoli di Stato, come tutti ben sanno, coi quali il risparmiatore presta del denaro allo Stato, il quale lo restituirà, coi dovuti interessi, a una data prefissata; infatti si parla di scadenza a tre, sei mesi e un anno. Ma il motivo che mi porta a scrivere questo articolo non è spiegare cosa siano i titoli di Stato, ma cercare di capire perché, in quest’ultimo periodo, il ministro dell’economia, On. Giulio Tremonti, tenti di convincere gli italiani a comprare i titoli di Stato; come ha riportato l’agenzia giornalistica Adnkronos il 4 dicembre: “Comprate i titoli di Stato italiani, sono la cosa migliore del mondo”, aggiungendo poi “in tutti i Paesi sono la cosa piu' sicura”. Questo si allaccia anche alle esternazioni del ministro del lavoro circa il rischio crack dello Stato, nel caso mancasse la liquidità necessaria a pagare le pensioni , gli stipendi dei dipendenti pubblici, nonché le spese derivanti dagli ammortizzatori sociali (in primis la CIG, cassa integrazione guadagni).

La questione è molto delicata ed è strettamente legata al nostro immenso debito pubblico. Infatti i titoli di Stato, ovvero i titoli del debito pubblico, sono per il 50% in mano straniera, mentre solo un 20% nel portafoglio delle famiglie italiane. Panorama ben diverso da quello che si prospettava a metà anni ’90, quando le percentuali erano inverse. Le percentuali degli anni ’90 devono essere lette con gli occhi della situazione economica delle famiglie e delle politiche pubbliche degli anni ’80. Infatti, se il nostro debito pubblico affonda le radici nelle politiche economiche dei governi del penta-partito, non bisogna dimenticare due cose di quel decennio: che le famiglie italiane videro per l’ultima volta aumentare il loro benessere rispetto al decennio precedente; e che i governi, per conquistare un immediato consenso, non solo aumentarono in modo impressionante la spesa pubblica (basti ricordare il gran numero si assunzioni presso le amministrazioni pubbliche e le aziende pubbliche, e i varii scandali per le spese pazze, come quello denominato “ lenzuola d’oro”, che coinvolse, nel 1988, l’intero consiglio di amministrazione delle FS a causa del prezzo gonfiato per l’assegnazione di un appalto per la fornitura di biancheria per i treni notturni), aumentando così strutturalmente la spesa pubblica, ma anche convincendo le famiglie a comprare i titoli di Stato.

Però, a partire dalla fine degli anni ‘90 lo scenario mutò. Infatti, i vecchi Bot e CTT non rendevano più come un tempo; basti pensare che agli inizi degli anni ’80 si toccò il picco di tasso d’interesse, ben il 17% . A partire dal 1998 il tasso d’interesse scese gradualmente fino a toccare il minimo nel 2004 quando era di poco sopra il 2%. Quindi, la remunerazione era scarsa e le famiglie, o non investivano oppure sceglievano altri prodotti finanziari per i loro investimenti.

Così i vari governi si videro costretti ad ampliare il port-folio degli acquirenti stranieri, fino alle percentuali odierne. La crisi economica di oggi, che sta erodendo ancor più i redditi delle famiglie, la riduzione della crescita della ricchezza nazionale che quest’anno si attesterà a -1,5%, nonché il continuo aumento del fabbisogno delle amministrazioni pubbliche, stanno mettendo in serio pericolo non solo l’acquisto dei nuovi titoli di Stato da poco emessi, ma mina soprattutto il pagamento di quelli in scadenza il prossimo anno.

Dato assai recente; l’ultima emissione di Bot e CTT per l’ultimo quadrimestre del 2008 ha visto deserte le prime due aste, mentre nella terza, solo un terzo dei titoli è andato venduto. È da precisare che tali aste erano aperte ai soli professionisti finanziari, e non alla generalità. Ma ciò è assai indicativo della criticità della situazione.

Infatti l’acquisto dei nuovi titoli di stato cadrà in un circolo vizioso, perché non sarà funzionale a coprire nuove spese, ma a pagare i titoli in scadenza. Infatti, la crisi economica costringe lo Stato a spendere risorse per finanziare la CIG, per mantenere i posti di lavoro, nonché le misure per i redditi più esposti . Giocoforza, i nuovi fondi reperiti coi nuovi Bot e CTT dovranno essere vincolati al pagamento dei vecchi titoli. Se non riuscissimo a restituire quanto ricevuto in debito e i relativi interessi, seguiremmo il destino dell’Ecuador, il quale, come dichiarato giorni fa dal presidente Rafael Correa non riuscirà a pagare i titoli del debito pubblico in scedenza nel 2012. Quindi lo stato ecuadoregno è destinato al cd “default”, ossia il fallimento.

Come pure in situazione critica è la Grecia, la quale versa nelle nostre stesse condizioni. Infatti il debito pubblico della repubblica ellenica è al 93%, e la crisi ha falcidiato la crescita del PIL, che decrescerà dal 3% all’1,4% (fonte: the Economist). Le proteste delle settimane scorse non furono solo scatenate dall’uccisione del giovane quindicenne, ma anche erano dirette a criticare le politiche del governo sul debito.

Per tornare in Italia, il problema dell’acquisto dei Bot esiste, anche se recentemente il loro tasso d’interesse ha ripreso a crescere sfiorando il 4%, grazie al cambio favorevole con il Bund, l’omologo teutonico. E ciò fa sperare che quelle famiglie che vogliono investire un po’ di capitale, lo facciano comprando i titoli del nostro debito pubblico.

Per evitare il crack, come l’Ecuador, è necessario che da un lato il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche diminuisca strutturalmente, così dimuirà la richiesta di nuovo debito, e secondo che il debito ritorni, per la maggior parte, in mano italiana, come forma di garanzia per non dipendere eccessivamente sugli acquirenti esteri. Ma quest’ultimo sarà possibile solo se il reddito delle famiglie riprenderà a crescere, e ciò può avvenire con serie riforme economiche che liberalizzino il mercato italiano, il quale in molti settori è ancora asfittico.

Mirko Iodi