martedì 11 novembre 2008

Credit Crunch (parte seconda)


Storicamente, ci eravamo fermati alla presidenza Bush, in particolare alle prospettive non rosee dell’economia americana del dopo 11/9. Fino a quella data il sistema finanziario americano registrò solo alcune novità, le quali, ripetendo, sono: i Gramm’s Acts del 1999 e del 2000, la politica per la prima casa e, da ultimo, l’innovazione finanziaria.
Ora, dobbiamo prendere in considerazione altre due date, il 2002 e il 2003. In questi anni la grande finanza registrò un boom, con un espansione fenomenale di varî pacchetti finanziari, cha vanno sotto il nome di: Abs, Cds e Cdo. Però, l’evoluzione del mercato non venne accompagnata da una parallela evoluzione degli strumenti di controllo da parte degli organismi pubblici, Fed e Sec; ciò dovuto non solo per le due leggi, di cui parlavo, ma anche per mancanza di competenze all’interno degli stessi organismi. Così, se la finanza si innovava, per i risparmiatori divenne sempre più arduo comprendere cosa volessero dire: Cdo, Abs e Cds, ma anche diminuiva la vigilanza, quindi la tutela dello Stato. Ma, adesso, è Meglio chiarire il significato delle sigle che ho citato per comprendere i loro effetti nefasti, che oggi subiamo
Gli Abs (Asset Backed Securities) sono strumenti finanziari, simili alle tradizionali obbligazioni, emessi a seguito di “cartolarizzazione”, cioè la trasformazione dei mutui in obbligazioni a tasso fisso o variabile, oggetto anch’esse di compravendita. La nascita di un Abs si realizza in più fasi: una banca separa dal proprio bilancio una serie di crediti (mutui), li trasforma in un “pacchetto finanziario”, e poi li vende sul mercato tramite una società veicolo delle banca medesima, oppure esterna. La società veicolo emetterà, a sua volta, delle obbligazioni a proprio nome, aventi come contenuto i crediti delle banca di partenza, con lo scopo di allocarli presso gli investitori-consumatori, i quali li acquistano in borsa. Così la società veicolo paga, con gli investimenti dei consumatori, alla banca iniziale l’acquisto dei titoli “impacchettati”. Il rischio sta in questo: poiché il pacchetto venduto nel mercato finanziario, alla fin fine, si basa sempre su un mutuo, qualora il mutuatario cominciasse a non pagare le rate (come è successo), l’operazione perderebbe liquidità, e così risulterebbe impossibile il rimborso del capitale che i risparmiatori hanno impegnato per acquistare il titolo, nonché il relativo guadagno derivante dalla speculazione.
I Cdo (Collaterized Debt Obligation) sono titoli derivati, garantiti da titoli Abs. Mentre gli Abs sono titoli “antichi”, perché già in uso nel XIX secolo in Germania e Danimarca, i Cdo sono totalmente nuovi. Anche qui, la loro commercializzazione parte da una società veicolo alla quale, come prima, vengono venduti da una o più banche commerciali titoli di credito. I mutui vengono impacchettati e ad essi viene abbinato un tasso di rischio sul loro rendimento. Il tasso di rischio non è altro che questo: le banche commerciali, nel conferire i loro crediti alle società veicolo, cedono sia i mutui sulle case, sulle aziende, sui centri commerciali etc .. . Quindi, si crea una diversificazione del rischio, in quanto, ovviamente, ogni mutuo ha un proprio grado di rischio, perché connaturato all’affidabilità del mutuatario. E qui vi è un’altra perversione del sistema, perché, più il portafoglio dei crediti è diversificato, meno consistente è il rischio di performance negative del Cdo, e viceversa. Quindi il mercato dei Cdo obbliga l’investitore-consumatore ad acquistare molti titoli, e inconsapevolmente acquista sia titoli che si basano su mutui sicuri (che verranno estinti dai mutuatari), che su titoli non sicuri (perché il mutuo è stato erogato anche a persone che non rispondono a tutti i requisiti minimi di garanzia, come i sub-prime).
Per i Cds (Credit Default Swap) ho già parlato nell’articolo predente, e per sintetizzare, il loro funzionamento è paragonabile, in via generale, a quello dell’assicurazione. L’innovazione è che grazie alla deregolamentazione del 2000 sono nate tante tipologie di swap (le più diffuse sono 11), a causa della flessibilità di tale strumento finanziario. Però, se in facciata tali contratti avevano il fine di tutelare gli investitori dall’eventuale crack dell’istituzione che ha emesso i titoli (da non confondersi con il venditore), di fatto le banche hanno lucrato fino all’inverosimile, perché costringevano i consumatori a versare mensilmente elevate somme (paragonabili ai premi assicurativi) per tutelarsi.
Dopo questo excursus su cosa siano questi titoli, dei quali era doveroso parlare perché sono il motivo dell’odierna crisi, vediamo come la storia si è evoluta. Tali titoli, all’epoca, erano molto redditizi, in quanto il giudizio di affidabilità rilasciato dalle società di rating (vedremo dopo cosa sono) era altissimo, e l’economia reale aveva ripreso a correre (tasso di crescita USA del 4%). Le banche d’affari, le quali svolgevano il ruolo di “società veicolo”, effettuavano colossali guadagni grazie alle intermediazioni, remunerando ampiamente i loro dirigenti ed azionisti. In questi strepitosi guadagni sta un’altra piega maligna. Infatti, le banche d’affari incentivavano i loro migliori dirigenti e dipendenti a produrre sempre nuovi pacchetti, sulla base di questa semplice logica: “più il nuovo pacchetto ci fa guadagnare, più tu guadagni”. Conseguenza fu che, nel 2005, le banche d’investimento, per produrre profitti, non poterono più affidarsi ai mutui sicuri, in quanto la loro crescita non è infinita, e quindi dovettero rivolgere lo sguardo ai cd “sub-prime”; ossia i mutui ad alto rischio, erogati a persone che non rispettavano tutti i requisiti di garanzia.
Riassumendo, le banche commerciali aumentavano le erogazioni di denaro tramite mutui, sia sicuri che non. Così facendo si esponevano sempre più nel mercato interbancario, senza aumentare in proporzione il loro capitale, perché spinte dalle banche d’affari e dalle società di rating. Quindi, le banche commerciali, per evitare i controlli della Fed e della Sec sul numero di sub-prime emessi ,si videro costrette a non iscrivere nei loro bilanci l’erogazione di tali mutui, ma solo i titoli messi in circolazione dalle loro società veicolo. Quindi le banche non dimostravano di essere a rischio d’insolvenza, mentre giorno dopo giorno, consapevolmente, ingrandivano la voragine creato nei loro conti. Da ultimo, meritano attenzione le società di rating. Queste sono agenzie private le quali, periodicamente, pubblicano bollettini sull’affidabilità delle obbligazioni emesse dalle imprese private. Quindi, nel nostro discorso, le società di rating si resero partecipi di un grande conflitto d’interessi, perché sostenevano la politica delle banche d’affari. Emettendo sempre un elevato giudizio di affidabilità, de facto, contribuivano a minare il sistema. Infatti, esse emettevano giudizi solo basandosi su analisi storiche, non riconoscendo che i nuovi mutui erano molto rischiosi.

Mirko Iodi

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