giovedì 27 novembre 2008

Credit Crunch (parte terza)


Scrivo questo terzo articolo sulla crisi finanziaria per concludere la trattazione e agganciarci, così, ai giorni nostri. Ora parlerò di cosa è accaduto dal 2006 fino a quest’anno, quindi dei “Credit Default Swap”, delle agenzie di rating e del cd “gigantismo”.
Nel secondo articolo, parlando dei Cdo (Collaterized Debt Obligation) ho detto che essi erano garantiti da crediti Abs (Asset Backed Securities), e che le banche, per finanziare tali titoli, verso il 2005, cominciarono a fare uso dei mutui sub-prime. Nel 2006 ben l’80% dei titoli Abs conteneva mutui sub-prime, a loro volta vicino all’insolvenza. Presentando i titoli Abs e Cdo con a base i sub-prime, le banche d’affari esponevano gli investitori ad alti rischi, ma anche alla possibilità che, se il mutuatario continuava a pagare le rate e quindi a saldare il debito, potessero effettuare grandi guadagni. Questo perché le agenzie di rating garantivano che i sopradetti titoli provenivano da cartolarizzazioni (vedasi articolo due) sicure; inoltre, ad assicurare l’affidabilità dei titoli Abs, vi erano istituzioni terze, estranee alla società di rating, come le assicurazioni Aig le quali, dietro cospicui pagamenti chiesti agli investitori-consumatori (sul modello del premio assicurativo), assicuravano l’affidabilità di tali titoli. Dietro la vicenda Aig, ora nazionalizzata dal governo USA, si cela un vero e proprio circolo vizioso.
Tra gli anni 2004 e 2006 ci fu un boom dei cd “swap” (Cds), i quali garantivano la solvibilità dei titoli Abs e Cdo. Quindi, l’aumento vertiginoso dei titoli Abs e Cdo, accompagnato dalla collaterale crescita dei titoli di garanzia Cds, condussero le assicurazioni Aig ad esporsi sempre più nel mercato dei mutui ipotecari, e a vedersi contemporaneamente ridurre il proprio capitale, per far fronte agli impegni presi. Da questo si può desumere come negli Stati Uniti si fosse creato un mercato bancario parallelo, fuori dal controllo degli organismi pubblici Fed e Sec, basato sul credito immobiliare a maggior rischio. In particolar modo, i titoli swap, che erano scambiati al di fuori della borsa, erano totalmente fuori controllo; perciò il loro mercato era privo di ogni regola di garanzia, diversamente dalla borsa. Infatti, gli operatori di borsa, i cd “brokers”, non si preoccupavano della pericolosità di tali titoli, poiché erano ben consapevoli che tali operazioni risultavano sempre fuori bilancio; come ho scritto nel secondo articolo. Se a queste vicende sommiamo quanto succedeva nell’economia reale, vediamo che il mercato edile era in pieno boom, il costo del denaro era basso, grazie all’opera del governatore della Fed Greenspan, e le grandi corporazioni del credito si erano talmente ingigantite che, agli occhi delle autorità pubbliche, era impensabile un loro fallimento. Il sistema, che finora ho descritto, cominciò a scricchiolare nel 2006, con le prime insolvenze. Ciò dovuto all’aumento del tasso di interesse del denaro che aveva, come si può ben dedurre, innalzato i tassi di interesse bancari, e quindi le rate dei mutui. Perché la Fed si vide costretta, tra il 2004 e il 2006, ad alzare i tassi di interesse? Il motivo era quella di contenere l’inflazione, agendo come la sua omologa Bce (Banca Centrale Europea), per attutire gli effetti delle speculazioni sul petrolio e i cereali, che stavano innalzando i prezzi in tutto il mondo.
Tornando al mercato americano, se consideriamo cha una buona parte dei mutui era erogata a persone che non fornivano garanzie, e assommiamo ai già insufficienti redditi l’aumento dei prezzi, e quindi del costo della vita, inevitabilmente una grossa fetta di mutuatari non riuscirono più a pagare le rate. Quindi il sistema entrò in crisi, e con esso tutto il mercato dei mutui ipotecari, e degli scambi interbancari, provocando la diffusione di quel “panico” dovuto alla paura delle insolvenze, che portò al blocco delle emissioni di nuove cartolarizzazioni, e al deprezzamento dei titoli che avevano valore. In questa situazione si inserisce il trattato “Basilea 2” (di cui si è sentito qualche volta parlare), siglato nel 2005, che obbligava e obbliga le banche commerciali ad una certa soglia minima di capitalizzazione. Ossia, il trattato prevede che la soglia di capitalizzazione venga calcolata in base al rapporto tra le passività e il patrimonio proprio della banca (cioè il patrimonio netto), tenuto conto dei bilanci delle società veicolo (vedasi articolo precedente), le quali acquistavano i mutui dalle banche commerciali. Con l’applicazione del trattato, lo scenario che si disegnò nel 2006 fu assai grave: le banche mostrarono una sottocapitalizzazione, ossia il loro capitale netto non era sufficiente a coprire il valore dei titoli emessi, quindi conseguenza diretta fu la progressiva svalutazione, da parte della banche, dei titoli che possedevano, per non aumentare ovviamente l’esposizione debitoria.
La voragine apertasi toccò subito il valore delle azioni delle banche stesse, causandone un forte deprezzamente. E similarmente ad un’epidemia, il contagio si allargò agli altri settori economici, primo fra tutti il mercato edile e quello interbancario. Il primo perché era saturo, e la bolla speculativa sul valore delle case si stava sgonfiando a causa del rallentamento delle vendite; il secondo perché le banche non erano più disposte a scambiarsi liquidità, oramai poca. Altro mercato contagiato fu quello dei mutui ipotecari, in quanto le banche non furono più disposte ad erogare mutui, se non a tassi elevatissimi. Le banche centrali di mezzo mondo, per evitare il collasso dell’intero sistema, cominciarono ad iniettare liquidità nel mercato finanziario, per tutto il 2007, così da ravvivare il mercato interbancario. Mentre il governo americano provvide ad un piano straordinario da 150 miliardi di dollari per sostenere i consumi. Ma entrambi non sortirono gli effetti desiderati. Soprattutto il secondo, in quanto le famiglie lo utilizzarono per aumentare i loro risparmi.
E arriviamo alla primavera 2008. La banca d’affari Bear Stearns non aveva più liquidità, perché nessuna banca le faceva credito, e il governo britannico aveva provveduto a nazionalizzare la Northern Rock Bank. La Bearn Stearns fu salvata dal fallimento grazie a un intervento della Fed, la quale convinse la banca JP Morgan Chase ad acquistarla. Secondo i Gramm’s Acts tale banca non rientrava sotto il controllo della Fed, quindi essa intervenne indirettamente per evitare l’aggravarsi della crisi.
A settembre, il 7, stavano fallendo le due banche semi-pubbliche Fannie Mae e Freddie Mac, e il governo americano intervenne nazionalizzandole, e spendendo ben 100 miliardi di dollari. Bisogna spendere alcune parole sul perché il governo americano salvò quei due istituti. Sappiamo che le due banche garantivano la maggior parte dei mutui. Inoltre, poiché erano semi-pubbliche, esse operavano in modo protetto dalla concorrenza, quindi fornivano maggiori garanzie. Ma erano quotate in borsa, e molti governi, in particolare quello cinese e quelli arabi, investirono somme consistenti su di esse. Quindi l’amministrazione Bush, costretta dalle pressioni di tali governi, nonché dall’esigenza di salvare la credibilità del sistema finanziario americano, decise di nazionalizzarle, provocando un’impennata del debito pubblico dal 60 al 90%. Il giorno 9 crollano le azioni delle banche d’affari e, alla metà del mese, scoppia il caso Lehman Brothers, dichiarata fallita il giorno 15 per i troppi debiti, ben 693 miliardi di dollari.
La Merrill Lynch viene acquistata dalla sua rivale, Bank of America; di lì a qualche giorno, il 17, le assicurazioni Aig, le quali non hanno capitali per garantire i swap, dichiarano debiti per 1000 miliardi di dollari, provocando un altro intervento del governo, il quale lo porta a detenere ben l’80 % del capitale. Il salvataggio prevede che l’istituto, per risanarsi, metta in vendita i rami societari più redditizi, nonché paghi gli interessi derivanti dai debiti. Per salvare il salvabile, la Fed mette a disposizione nuovi titoli del debito pubblico per garantire i titoli tossici (quelli aventi a base i sub-prime). Il giorno 18, il governo americano dichiara di avere un piano di salvataggio, il cd “piano Paulson”, cioè un fondo di 700 miliardi di dollari, che si chiama, ufficialmente, Tarp (Troubled assets relief programme), finalizzato ad acquistare i titoli tossici, ripulendo il mercato.
Questa è la cronistoria della crisi economia, dai suoi prodromi ai giorni nostri. Non mi sono concentrato molto sulle vicende odierne perché sono quotidianamente trattate dai mass media.
Mirko Iodi

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