domenica 17 agosto 2008

Il perché di un conflitto

Il recente conflitto russo-georgiano, ultimo di una innumerevole serie di conflitti che hanno riguardato il Caucaso, dimostra, ancora una volta, come tale regione sia un'area geopolitica di importanza esorbitante; soprattutto per gli interessi economici sottesi.
Questo mio intervento vuole focalizzare l'attenzione non sulla crudeltà della guerra, e quindi sulle distruzioni e i relativi morti, ma sui motivi che hanno indotto il conflitto.
Le ragioni sono riconducibili a due: petrolio e gas. Di fatto il principio del conflitto sta nella costruzione di pipelines, termine tecnico per indicare le reti di trasporto degli idrocarburi, il quale si connette con l'interessa della Georgia a far parte della NATO, e quindi la conseguente opposizione di Mosca. In specifico la costruzione di due di esse: una che da Baku, in Azerbaijan, ha come terminale il Mar Nero; e l'altra, invece, che, partendo da Baku, via Ceyha in Turchia, ha per terminale Ashkelon, in Israele.
Gli interessi russi, per queste due pipelines, sono immensi. In particolare la prima. I Russi vorrebbero che essa passasse per il loro territorio, anziché per la Georgia, ed il motivo è semplice. Tale linea è destinata a trasportare petrolio in Europa, e gli Europei, memori della crisi del gas intercorsa nel 2005 tra Russia ed Ucraina e della riduzione di forniture di greggio che ha colpito i paesi dell'Europa Orientale nel 2007 a causa del conflitto Gazprom-Minsk sul prezzo al metro cubo, cercano di diversificare i loro approvvigionamenti, primo per non dipendere troppo dalla Russia, secondo perché essa è considerata inaffidabile ad assicurare un rifornimento continuo e, quindi, certo.
Per la seconda pipeline, invece, che da Baku, via Ceyhan in Turchia, dovrebbe trasportare petrolio nel Mar Rosso nel porto di Eilat, ha visto non solo l'interessamento dei Russi, ma soprattutto l'interesse degli Israeliani, non solo a realizzare l'opera, ma anche a rifornire l'esercito georgiano di mezzi e soprattutto di consiglieri militari i quali, tra l'altro, hanno coordinato le truppe georgiane durante il conflitto. Su questa pipeline l'interesse dei russi ricade su Ceyhan e Tbilisi, non essendo riusciti a convincere gli Israeliani a usare la propria rete. Poiché il progetto dell'oleodotto prevede che esso passi per la capitale georgiana, a Mosca interessa avere a Tbilisi un governo compiacente, come quello di Shevardnadze, in modo tale, poi, da aver maggior controllo sul nodo di Ceyhan, città turca destinata a diventare, come molti l'hanno già ribattezzata, “la capitale dell'oro nero”. L' interesse russo sulla città turca è uno: usarla per aprirsi le porte per il medio-oriente. Ma la volontà del presidente georgiano Shakaashvili di agganciarsi agli Stati Uniti, e quindi di entrare nella NATO, di fatto mina tali interessi e quindi il controllo sulle pipelines, ed a ciò è riconducibile l'intervento russo in Georgia.
Queste sono le ragioni di fondo che hanno scatenato l' “incendio” caucasico, ed hanno alterato gli equilibri geopolitici definitivamente. E' da ricordare che, a causa dell'intervento russo in Georgia, il presidente ucraino ha emanato un decreto per limitare la circolazione della flotta militare russa nelle acque territoriali ucraine, e che la Polonia ha sottoscritto l'accordo con gli Usa per l'installazione dello scudo spaziale. Da ciò si evince, ulteriormente, come gli equilibri instauratisi tra il 1989 e il 1992 siano definitivamente sovvertiti, con un ritorno preponderante della Russia sulla scena mondiale come potenza sia economica che militare.

Mirko Iodi

Per approfondire:
http://electronicintifada.net/v2/article9756.shtml
http://www.thenation.com/doc/20060123/klare
http://www.stratfor.com/theme/crisis_south_ossetia

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